L’ultima del Tristano

Che senso ha parlare di Paese del Bel Canto, di tradizione e di patrimonio culturale se non si coltivano la conoscenza e la pratica della musica? Roberto Casati e Maurizio Giri propongono cinque misure per risollevare le sorti della musica "forte" in Italia, e Quirino Principe offre un ragionamento sulle origini del "misfatto" che ha relegato la musica ai margini della formazione di una cultura di base. L'invito è ad aderire ad un appello che condivido, per la promozione dell'educazione musicale nelle scuole.

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Vorrei però aggiungere una considerazione all'analisi di Quirino Principe, che centra sicuramente uno dei fattori fondamentali (ovvero la composizione demografica del pubblico nei teatri lirici) ma non ne coglie a mio avviso l'essenza. È vero che l'età media del pubblico della platea è elevata: ma Principe dovrebbe salire, a teatro, salire ai piani superiori e abbandonare la platea sonnolenta.

Li troverebbe, i giovani, quelli portati lì (per amore o per forza) dalle famiglie e quelli spediti in massa dalle scuole di musica e non (ebbene sì, ho visto anche scolaresche generiche assistere alle prove generali), ma anche quelli che ci vengono per interesse spontaneo. Tra questi, qualche tenera coppietta di sedicenni vestiti in ghingheri, dei quali si capisce lontano un miglio che uno dei due è lì con l'unico scopo di fare contento l'altro (e quindi pronto, per lo stesso motivo, ad appassionarsi a quel che vedrà).

Ma lo spettacolo non è lo stesso: non è la sarabanda multimediale che ti immerge da una distanza di pochi metri, ma una messinscena sbiadita accompagnata da una musica lontana e smorzata, osservata dal fondo di un tunnel col soffitto basso. Quel che si vede dal loggione o dalle gallerie non è una versione "a bassa risoluzione" di quello che si vede dalla platea: la diversa qualità ne cambia la sostanza, perché la distanza tra le due esperienze è popolata da un'infinita varietà di altri spettacoli, altri contenuti e altre modalità di fruizione remota e/o asincrona che rivaleggiano e sovrastano quel surrogato per tasche vuote che è il posto di loggione.

Ma la crisi, si dirà: con i finanziamenti pubblici che spariscono e le tasche del pubblico sempre più vuote, come è possibile pensare di chiedere ai teatri lirici di ridurre i prezzi per accedere ai posti prestigiosi?

Non è innovazione quella che segue le strade ovvie, quindi proviamo a sognare un po': i teatri cambino radicalmente l'offerta, invertendo semplicemente i prezzi del biglietto. Vanno trovati i modi giusti per coprire di una patina prestigiosa i piani alti, lasciando la platea agli squattrinati appassionati e appassionabili. L'evento sociale può stare anche in loggione e galleria, lo spettacolo sia concesso (alle migliori condizioni!) a chi è interessato solo a quello.

Magari anche solo per una serata, l'ultima. Immagino già i titoli: "Il pubblico delle grandi occasioni all'ultima del Tristano".