Blogger del terzo tipo

Ho letto su Lavoce.info un articolo che parla di blog, e ho apprezzato il tentativo di affrontare con metodo il compesso discorso dell’attendibilità e della reputazione. L’articolo è sicuramente rivolto a lettori poco familiari con il medium "blog", e mi rendo conto che alcune semplificazioni possano essere utili. Mi riferisco in particolare all’individuazione di alcune categorie esemplari di blog e siti: quelli scritti da autori che possiedono una reputazione "acquistata attraverso altri canali riconosciuti" e quelli che forniscono una garanzia di attendibilità grazie a forme di controllo all’ingresso.

I rimanenti vengono catalogati come "di terzo tipo", e il trattamento riservato a questi ultimi mi lascia decisamente perplesso:

Per converso, blogger
del terzo tipo, oltre a rimanere anonimi, spesso decidono di non
consentire agli altri utenti di commentare i loro interventi.

La distinzione è un po’ troppo sbrigativa: è evidente che non tutti i blog indipendenti ricadono nella categoria "diario pubblico sotto pseudonimo", per quanto il blogger possa non godere di una reputazione riconosciuta.

Ma soprattutto non sono d’accordo perché credo che la lenta costruzione di una reputazione attraverso la rete, per mezzo di una conversazione estesa tanto nel tempo quanto nella varietà degli argomenti affrontati, sia uno dei fattori distintivi di questo mezzo di comunicazione. Ed è una strada accessibile anche a blogger "del terzo tipo". Anche a quelli che scelgono di scrivere al riparo di uno pseudonimo.

  • Boh/Orientalia4All |

    I blogger anonimi, come me, non sono mai anonimi. In fondo c’è sempre un nome e cognome, che se uno lo cerca lo trova subito. Se è interessato. O il link a qualche pubblicazione cartacea, e così via.
    E ci sono bravi giornalisti, come Luca Sofri, che non permettono commenti nel blog (il suo si chiama Wittgenstein), e in più è anonimo!
    Quindi, lo pseudonimo è solo un fragile schermo perché in realtà la reputazione di un blog si costruisce non attraverso nome e cognome ma attraverso quello che scrivi.
    Certo, essere dei presenzialisti, andare ai BarCamp, scrivere per i giornali e pubblicare libri di massa aiuta e tanto. Specialmente, aiuta se puoi far scrivere gli altri, se sei un editor in un giornale o casa editrice, se sei caporedattore, ecc.
    Ma c’è anche gente come me, che non fa niente di tutto questo, eppure sta ai primi 50-70 posti delle classifiche dei più letti. E io non distribuisco template, non faccio contest, ecc. Voglio dire che il blog è un mondo a sé e che la credibilità te la conquisti sul campo. Se sei un bravo e diplomatico, se sei onnipresente, se puoi qualcosa, sarai 1° o 2°, insomma, entro i primi 20-30 blog.
    Altrimenti, comunque la gente ti leggerà, se sei in gamba. Se dici cose nuove, se pensi e, soprattutto, se sei “vero”. Ecco, penso che essere veri paga non solo per sé — il che è essenziale — ma anche in termini di readership.
    Ciao ciao
    (p.s. i font dei commenti sono microscopici..)

  • domiziana |

    tutti hanno a che fare con la sfera pubblica e privata. Tutti hanno o pensano di avere qualcosa da nascondere o da mostrare. Mi ricordo di un libro di Castelfranchi che si chiama Che Figura! e mi venne suggerito dal semiologo Paolo Fabbri . 15 anni fa. Ne consiglio la lettra anche se non so se ne abbiano fatto una ristampa.
    Un libro fondamentale di gran lunga superiore ad altri letti -in inglese. ciao dg

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