Ten years ago, professor and senator Darko Bratina died and left a great void in the cultural life of my home town.When our friendship began, I was just a self-conceited teenager and he was a professor at the Trieste University and the leader of a cultural institution. I will never forget the great conversations we had and his great listening attitude, ignoring the silliness and nurturing what really came from the heart, making you understand and select what was valuable in your ideas and what was simply borrowed from someone else.
I want to remember him with a small story (in Italian) I wrote some weeks before he died. He never read it: I was in no hurry to submit it to him, and time looked endless in front of us.
Appartenenza
Nazdravimo bodočemu velikemu režiserju, da bi Gorica postala evropski Hollywood!
(qualcosa per il grande regista, anzi al futuro regista, Gorizia sarà la Hollywood europea, è un brindisi perché alzano i bicchieri)
Go-vor, go-vor!
(discorso… se farà finta di parlare in tono ufficiale chi lo capisce…)
Dragi prijatelji, cenjeni sodelavci…
(cari amici, stimati colleghi, va bene, farò finta di capire, riderò quando ridono gli altri e qualche volta no, così è più credibile…)
Lo Studente finge di ascoltare e sta a guardare il futuro regista che continua con il suo discorso: qualche espressione compresa ogni tanto gli lascia comprendere il senso generale di quel che va dicendo: sta riassumendo la storia della travagliata ricerca di finanziamenti per il suo progetto di cortometraggio transfrontaliero. Ora sta probabilmente citando un’interminabile elenco di istituzioni, italiane e slovene (ogni tanto, fingendo di confondersi, dice jugoslovanske) presso le quali aveva bussato. Accidenti se è dura imparare a vent’anni una lingua sentita fino ai cinque e solo i giorni in cui stava dai nonni, solo qualche parola e qualche frase fatta, una ninna-nanna, contare fino a 100, dire "mille", una filastrocca, la seconda strofa di un’altra filastrocca, due canzoni da osteria, tanti nomi di cibo, qualche gioco di parole e le frasi giuste per salutare e ringraziare i parenti quel paio di volte all’anno che si vedono. Poi, dopo tanti anni, la grammatica azzurrina consigliata dal Professore, quando gli aveva raccontato dell’intenzione di imparare, finalmente, lo sloveno.
Mentre il futuro regista continua a parlare, lo Studente guarda il Professore, nume tutelare del gruppo lì seduto a festeggiare intorno ad una tavola già ripulita da quasi tutto quello che di commestibile vi era stato portato, salvo le brocche di vino e di acqua che continuano ad arrivare. Il Professore adesso ride per una battuta del futuro regista, che forse ha abbandonato il tono ufficiale: se parla normalmente è un piacere ascoltarlo, anche in sloveno perché ha una bella voce chiara ed è davvero facile capirlo. Ma ormai lo Studente non riesce a riprendere il filo, gira lo sguardo tra tutti gli amici, sente che non ce la farà mai, che anche se imparasse altri centomila nomi e verbi e regole sarebbe sempre un’altra cosa. Un’altra risata, lui non ride perché tanto per fortuna nessuno si sentirà imbarazzato dal suo non capire. Ha fatto bene a non ridere, comunque, perché il Professore si gira verso di lui e gli dice piano "questa poi te la spiego, perchè era un po’ troppo contorta". Lo sanno tutti benissimo che la distanza c’è, sono tutti abbastanza intelligenti da sapere che continuerà ad esserci, ma la cosa non spaventa nessuno. Poi il discorso finisce, il futuro regista si gira verso lo Studente e col suo gran sorriso declama:
Nazdravimo zadnjemu, ki je prišel, ker zadnji bodo prvi.
(Un brindisi per l’ultimo arrivato – accidenti è per me – perché gli ultimi saranno i primi)
Si levano i calici, lo Studente si alza.
(Speriamo che non pretendano un discorso, qualcosa gli dirò, beh, ringrazio)
Hvala, hvala
(Prima che avvenga questo scambio, no, come si dice, prima che gli ultimi…)
Predno bodo zadnji…
(diventino i primi)
postali prvi…
(ne passerà di vino sotto i ponti)
bo teklo vino pod mostovi.
Scambiano occhiate tra di loro, come ad esprimere ammirazione per la padronanza della lingua.
(Allora, nel frattempo)
Medtem torej…
(facciamone scorrere ancora un po’!)
pustimo ga teči še malo!
Tutti battono le mani entusiasti, ridendo, e si alzano i bicchieri per l’ennesima volta. Poi riprendono a parlare a voce più bassa, a gruppetti di due o tre. Il Professore si volta a fare i complimenti allo Studente, che sposta l’accento sull’argomento delle frasi da brindisi, dicendo che avrebbe preferito continuare sul tono elevato di una frase come "gli ultimi saranno i primi", mentre non era riuscito a fare di meglio che concludere con un comune detto. Finalmente, parlando in italiano.
– E’ curioso che tanto spesso, in una combriccola ad alta percentuale di miscredenti come noi qui, si faccia riferimento a episodi, frasi o idee originate dalla materia religiosa.
Appena l’ha detto, si rende conto che non è poi chissà che curioso. Il Professore non lascia tempo all’imbarazzo di entrambi.
– E’ una cosa naturale, se riferita all’atteggiamento di ognuno rispetto alla fede. Non c’è solo credere o non credere, va considerata anche la manifestazione pubblica delle proprie convinzioni: c’è chi crede e ne dà testimonianza ma anche chi interiormente crede ma si comporta in maniera del tutto indipendente dalla sua fede, magari per pigrizia o per disaccordo con i rappresentanti terreni della religione. C’è poi ovviamente chi non crede e lo lascia sapere, e anche chi non crede ma non desidera che questo si sappia e si impone un’ortodossia di facciata, spesso più rigida di quanto non sarebbe se la fede ci fosse davvero.
– Curioso, al giorno d’oggi: mica ti perseguitano…
– Eppure è diffuso, molto più di quanto si possa credere.
– Un po’ stupido, come atteggiamento.
– Sembrerebbe di sì, ma ci può essere altrettanta stupidità in qualsiasi altro atteggiamento.
Ma in una serata così non c’è tanto tempo per i discorsi semiclandestini, perché scoppia una risata dall’altro lato del tavolo, e chi l’ha causata comincia a parlare a voce più alta e tutti si mettono ad ascoltare.
Sono passati alcuni mesi, è estate, e lo Studente è in vacanza con la fidanzata. Sono in montagna, in un paesino al confine con Austria e Slovenia, nella zona in cui si parlano tre lingue. E’ domenica, e lo Studente ha promesso alla ragazza che l’accompagnerà a Messa. Tutto sommato non gli pesa, il fare un piacere val bene un po’ di noia.
Si limita a stare lì, alzandosi quando si alzano gli altri, dando la mano per il segno di pace se qualcuno gliela porge. Oggi è seduto in fondo alla piccola chiesa piena di turisti e di gente del luogo, e pensa che si annoierà meno del solito perché la Messa sarà bilingue, così potrà fare un po’ di esercizio ascoltando quello che verrà detto. La cerimonia sta per iniziare, ma lo Studente vede che una suora sta venendo verso il fondo, guardandolo in faccia. Non gli pare di conoscerla, anche se ne ricorda più di qualcuna: la maestra elementare di sua madre, la cugina del nonno ed altre di quando era bambino. Quando arriva all’altezza del suo banco, gli chiede qualcosa, non gli arrivano esattamente le parole ma sono in sloveno, è una domanda, ed il senso è qualcosa come "siete dei nostri?"
Risponde di no, che sono lì in vacanza, da Gorizia. Ma l’appartenenza a cui la suora si riferiva era un’altra, e lo Studente ha risposto comunque anche a questa, implicitamente, parlando in sloveno.
– Lahko bereš drugo v slovenščini? Za italijanščino smo že našli.
(mi chiede di andare a leggere la seconda lettura, in sloveno, la prima verrà fatta in italiano e hanno già trovato qualcuno)
Lo Studente è imbarazzato, risponde che a parlare se la cava ma a leggere di fronte a tante persone non se la sentirebbe. Non è vero, ma pensa che andare a leggere sarebbe una presa in giro, esattamente come se, durante la celebrazione, si mettesse in ginocchio nascondendo il volto tra le mani e tutto il resto. La sua fidanzata conosce solo poche parole, né lui né lei possono essere d’aiuto. Si guarda intorno, legge le facce della gente, per metà sono turisti ma tra gli altri ci sarà sicuramente qualcuno che potrà leggere come e meglio di lui. Dice ancora di no, davvero, che non se la sente proprio. Un imbarazzato rammarico gli si dipinge spontaneamente in viso. La suora rimane comunque un attimo a parlare, gli racconta che anche lei è di Gorizia, gli chiede dei suoi genitori, dei nonni, della scuola. Lo Studente andrebbe avanti a chiacchierare, vorrebbe raccontare della cugina di suo nonno, vorrebbe spiegare che davvero lo sloveno lo sa in modo parziale e non era un banale pretesto per nascondere la pigrizia, ma la suora con un sorriso ed un cenno si allontana: deve cercare qualcun’altro che possa leggere.
Inizia la Messa, si alternano frasi in sloveno ed in italiano, la prima lettura passa in un attimo, ad un certo punto metà chiesa comincia a cantare, in sloveno. Lo studente cerca di capire le parole, ma è difficile. Ogni tanto una, poi tutto intero l’ultimo verso della prima strofa. Comincia la strofa successiva, sente le parole, la musica, di colpo si accorge che sa andare avanti. Ricorda un’altra chiesa, lì vicino, in cima ad una montagna, un soffitto di travi ed i nonni accanto, con la nonna che gli insegna le parole mentre tutta la chiesa canta. Poi l’avevano ricantata mentre camminavano per la malga, nel pomeriggio, e la nonna gli aveva spiegato il significato delle parole, che adesso gli tornano alla memoria salendo dal cuore, insieme alla luce di quella giornata: la fidanzata lo guarda stupita mentre lui canta, con un sorriso rapito. E’ un attimo, lo Studente si gira verso di lei (è già diventato un sorriso complice, non più quello del momento in cui il flusso dei ricordi aveva superato gli argini) e le fa cenno con la mano a intendere che, alla fine, spiegherà tutto. Però continua a cantare, anche se la voce è un po’ meno sonora.
Poi il canto finisce, un uomo tarchiato esce dal banco, si avvicina all’altare e comincia a leggere in sloveno qualcosa che lo Studente non tenta nemmeno di capire. Non ascolta, ma guarda. Vorrebbe parlare ancora con la suora di prima, ripensa al modo in cui la sua risposta in sloveno alla domanda iniziale gli aveva regalato la familiarità di una rappresentante di una comunità tenuta a distanza dalle sue convinzioni. E le parole che gli arrivano alle orecchie, lette con accento incerto dall’uomo tarchiato, lo riempiono di rammarico per non essere lui, là, vicino all’altare a leggere.