Als Maa chasch nöd erwarte, dass ich hüt Abig öppis anders mach als das Match luege.
Siamo a Zurigo, e la frase è stata pronunciata da un collega, con leggerezza, alla fine di una riunione:
Essendo io un uomo, stasera non potete aspettarvi da me che faccia altro che guardare la partita.
Parlava della partita dei quarti di finale degli Europei femminili di calcio. Nessuno si è stupito: il match della nazionale femminile svizzera contro la Spagna era l’evento della serata, con numerosissimi spettatori e le prime pagine dei giornali già pronte a celebrarlo. Il fatto che per molti fosse ovvio seguirlo è, di per sé, una notizia.
In Svizzera, infatti, questi Europei femminili non sono stati solo un torneo: sono stati anche un’iniziativa di crescita culturale. E un caso esemplare di come si può accompagnare e guidare una trasformazione sociale senza forzarla.
Orientare il cambiamento
Il cambiamento culturale, nelle organizzazioni come nella società, non si comanda. Ma può essere progettato, coltivato, accompagnato.
La Svizzera ha usato il proprio ruolo di paese ospitante per fare proprio questo: accendere l’interesse verso il calcio femminile, amplificare una passione già in crescita, rendere visibile un’identità collettiva più ampia. Con quali strumenti? Comunicazione intelligente, messaggi istituzionali coerenti, un’esperienza di partecipazione inclusiva e aperta. Un evento vissuto in stadi pieni, senza cori bellicosi né cordoni di polizia, con bambini, famiglie, tifoserie miste. Una normalità nuova, che non si impone, ma si mostra – come hanno fatto le home page dei giornali svizzeri dopo la partita, dedicando la massima attenzione all’evento.
La visibilità è una leva strategica. Mostrare significa attribuire valore. Dare spazio significa legittimare. E rendere visibile un talento – come quello delle giocatrici – genera partecipazione, rispetto, ambizione.
Tutto ciò ha un effetto moltiplicatore: le persone iniziano a guardare, a parlarne, a identificarsi. E quello che sembrava “di nicchia” diventa parte del paesaggio culturale.
Anche le sconfitte possono “fare” cultura
La nazionale svizzera è uscita ai quarti. Ma nessuno ha parlato di sconfitta.
«Più di quanto abbiamo mai sognato», ha detto la capitana Lia Wälti.
«Un decollo», l’ha chiamato la CT Pia Sundhage.
E il commento forse più centrato viene dalla Presidente della Confederazione, Karin Keller-Sutter:
«In Svizzera, anche quando si perde, si vince.»
Per chi si occupa di strategia, innovazione e gestione del cambiamento, c’è molto da imparare.
Il comportamento segue la narrazione.
La cultura si trasforma quando diventa desiderabile e praticabile.
E anche i progetti più tecnici hanno bisogno di visione, partecipazione e simboli.
In Svizzera lo hanno fatto con un torneo.
Noi, nelle nostre organizzazioni, possiamo farlo con ogni progetto.