Secondo uno studio della Netherlands Environmental Assessment Society, nel 2006 è avvenuto l’avvicendamento al vertice della classifica delle nazioni che inquinano di più: la Cina ha superato gli Stati Uniti. Come faceva notare Antonello Pasini, il tragico è che le economie più sviluppate stanno fallendo l’obiettivo di dare l’esempio nel ridurre le emissioni di CO2.
Nell’auspicio che i paesi in via di sviluppo inizino a mettere in atto delle politiche efficaci di contenimento delle emissioni "per virtù propria", avevo trovato un po’ di conforto nel leggere qualche nota sul piano nazionale cinese per i cambiamenti climatici (vi si annunciano obiettivi ambiziosi, anche se mai esplicitamente diretti alla riduzione delle emissioni). Superficialmente, saremmo tentati di attribuire al governo centrale cinese una forza decisionale tale da poter imporre facilmente il conseguimento degli obiettivi. Ma non dobbiamo dimenticare quanto possa invece rivelarsi complicata la questione ambientale (o qualunque altra…) in una società così articolata, dove sono chiamati in causa non solo il cittadino e il governo centrale ma anche la forza dei gruppi di interesse locale. Ho trovato in questo senso emblematica la storia di Wu Lihong, un ambientalista che ha ricevuto diversi riconoscimenti dal governo cinese ma è stato recentemente imprigionato a seguito di pesanti accuse provenienti da ambienti legati agli stessi episodi di inquinamento da lui denunciati.